Nella letteratura socio psicologica il Concetto di leadership è stato definito in molti modi; tuttavia, Hollander 1985 ritiene che l’aspetto più consistente in tale pluralità di definizioni sia l’avere rilevato che la Leadership implica un processo di influenza fra un leader ed i seguaci in ordine al raggiungimento degli obbiettivi di un gruppo , di un organizzazione o di una società. Anche nei gruppi informali è in genere considerato Leader colui che mostra il più elevato livello di influenza . Turner, 1991 ,definisce leader le persone o i ruoli sociali che esercitano maggiore influenza in un gruppo rispetto alle altre persone o agli altri ruoli .Il leader mostra più iniziativa degli altri del gruppo : (Dirige, suggerisce, consiglia , propone idee.. , ecc… ), occupa una posizione elevata nella gerarchia di status e nella rete di comunicazioni del gruppo , si trova nella posizione centrale. Ci si può chiedere perché nelle definizioni di leadership si parli di influenza e non decisamente di potere . Di deve a Moscovici ( 1976) la definizione fra influenza e potere , illustrata principalmente dagli effetti della maggioranza e della minoranza sulle opinioni dell’individuo; l’influenza della minoranza consiste nel produrre accettazione soggettiva di persuasione , mentre quella della maggioranza implica coercizione acquiescenza pubblica. Come nota Turner, 1991 , prima del contributo teorico di Moscovici era normale considerare il potere come base dell’influenza sociale ed il potere sono considerati come processi alternativi di modificazione dei comportamenti degli altri . Se l’influenza è dunque il tratto distintivo del leader , possiamo chiederci quali siano i motivi che rendano alcune persone in grado di influenzare gli altri più di quanto siano esse stesse influenzate . Uno dei primi tentativi di risposta a tal quesito è stato quello di reperire le caratteristiche , i tratti di personalità che distinguono i leader dagli altri . Una rassegna di Stogdill (1974) , che tiene conto di 163 studi compiuti fra il 1948 e dil 1970 , indica come più tipici di un leader i tratti seguenti: propensione alla responsabilità e alla esecuzione del compito , forza e tenacia nel perseguire gli obbiettivi prescelti, temerarietà e originalità nell’affrontare e risolvere problemi , tendenza a prendere l’iniziativa in diverse situazioni sociali , fiducia in se stesso e forte sentimento d’identità , disponibilità ad accettare le conseguenze di decisioni ed azioni , prontezza nell’assorbire lo stress e capacità di tollerare frustrazioni , abilità nell’influenzare gli altri, capacità di strutturare il sistema di interazioni sociali in vista del risultato .Come dice Hollander (1985) nella sua rassegna sulla leadership , ricerche come quelle considerate da Storgdill non hanno individuato un set consistente di tratti di personalità che distingua il leader dagli altri o che permetta di predire chi diventerà leader , poiché i comportamenti delle persone tendono a variare a seconda delle situazioni ed i tratti non somatici ma dinamici. Questa considerazione inficia l’idea del “Grande Uomo” (basata, come detto , sulla ricerca dei tratti di personalità caratterizzanti il leader) porta, secondo Hollander, a due sviluppi teorici interrelati tra loro : da un lato lo studio sul comportamento di leader e dall’altro l’emergere dell’approccio situazionista. Per quanto riguarda il comportamento del leader si può fare riferimento alle ricerche di Bales e Slater (1955) . Secondo questi autori i leader servono essenzialmente a due tipi di funzioni : ad assicurare che il clima di gruppo sia armonioso mostrando considerazione nei confronti dei membri (il cosiddetto leader Socio-emozionale) e realizzare il compito , mostrando le migliori idee utilizzando le migliori idee e organizzando il lavoro di gruppo (il cosiddetto leader centrato sul compito ) . Difficilmente queste due funzioni della leadership (il centraggio sul compito e il centraggio sulle relazioni ) si trovano nella stessa persona.; Slater ha ipotizzato due ruoli siano complementari . Anche la ricerca sulla leadership della Ohio State University iniziata nel 1947 (cfr. la descrizione offerta nella rassegna di hollander 1985) , in cui venne usato come strumento il questionario invece che l’osservazione del comportamento come nelle ricerche di Bales e Slater , mise in luce due principali linee comportamentali dei leader : la considerazione nei riguardi dei membri del gruppo (comportamenti di aiuto nei confronti dei subordinati., fare loro dei favori, essere amicale e disponibile , fornire spiegazioni) e la capacità di strutturazione (portare i subordinati a seguire le regole e procedure , mantenere standard di produzione , rendere esplicite le differenze di ruolo fra leader e subordinati ) . Un altro esempio di studio basato sul comportamento del leader può essere considerato il celeberrimo lavoro di Lewin , Lippit e White (1939) sullo stile della leadership (distinta in tre modi: autoritaria , democratica e laissez faire ) e le sue conseguenze sulle produttività e il morale del gruppo . Secondo Turner (1991) lo stile democratico e quello autoritario rappresentano rispettivamente il leader socio emozionale e quello centrato sul compito e possiamo chiederci se il leader ideale sia quello che incarna entrambi gli stili oppure l’uno o l’altro alternativamente a seconda delle richieste situazionali. Da parte nostra , non siamo certi che si possa veramente fare un parallelo fra gli stili di leader chip di Lewin e White e quelli proposti da Bales e Slater per le diversità d’impostazione delle rispettive ricerche .L’approccio situazioni sta si fonda sull’idea che il leader deve assolvere diverse funzioni in situazioni che comportano compiti diversi. Il contenuto e il contesto dell’attività determinano differenti richieste di comportamento ( Argyle e Little 1972) . A questo proposito Carter e Nixon (1949) posero a coppie di soggetti tre compiti di Natura diversa da eseguire e trovarono che molto raramente lo stesso individuo poteva emergere come leader in tute e tre le situazioni . Fra gli elementi situazionali che possono riguardare la leadership si possono annoverare i climi competitivi e cooperativi , la stabilità o l’instabilità ambientale , la grandezza del gruppo. Fra i fattori situazionali collegati all’emergere di un leader , hemphilll (1961) ha sottolineato l’importanza della Natura del compito e la presenza nel gruppo di un membro con esperienza di leadership. Secondo Hollander (1985) , l’approccio situazioni sta , che pure ha avuto il merito di superare le teorie dei tratti di personalità , ha esagerato nel’altro senso , in quanto trascura in modo troppo marcato le caratteristiche delle persone che occupano ruoli di leadership; in tal senso l’approccio situazionista non spiega , per esempio, perché in certe situazioni emerga come leader una persona piuttosto che un’altra a parità di competenze relative al compito. Il situazionismo puro appare come un approccio esagerato , da un lato in quanto centrandosi su di una definizione riduttiva di situazione (ridotta a richieste relative al compito ) trascura elementi importanti per comprendere l’emergere di un leader , come la struttura , la storia , le dimensioni e le risorse del gruppo , elementi che pure fanno parte della situazione . dall’altro lato, esso non è in grado di offrire una visione dei processi relazionali fra il leader ed i seguaci nel tempo (per esempio , i motivi dell’avanzamento o della perdita di status , l’emergere della leadership ed il suo mantenimento). Il modello della contingenza proposto in prima istanza da Fielder (1964) e successivamente con alcune trasformazioni da altri autori (hollander, 1985) cerca di introdurre un’idea interazionistadella leadership, la cui efficienza dipende dalla corrispondenza fra l stile adottato dal leader e il controllo che quest'ultimo possiede della situazione . Lo stile dellla leadership si basa sulla distinzione fra Bales fra leader centrato sul compito e leader centrato sulle relazioni e viene misurato con il punteggio Lpc (least preferred co-worker) ottenuto chiedendo alle persone di descrivere su varie scale bipolari (per esempio , amichevole/ostile , collaborativo/non collaborativo ecc… ) il collaboratore con cui è stato difficile lavorare . Coloro che esprimono dei punteggi basi (basso LPC) descrivono in termini piuttosto sfavorevoli il loro collaboratore e sono considerati come essenzialmente centrati sul compito” (cioè adottano abitualmente questo stile di leadership ) mentre coloro che ottengono un elevato Lpc descrivono piuttosto favorevolmente anche il collaboratore meno perfetto e sono considerati come centrati sulle relazioni” . Questi orientamenti del leader possono essere più o meno efficaci a seconda dei tre principali fattori presenti nella situazione : la qualità dei legami leader-membri (cioè l’atmosfera di gruppo) , il livello della struttura del compito (definitezza dello scopo ,, dei metodi di soluzione , del prodotto finale ) il livello del potere del leader ( avere a disposizione sanzioni e premi , poter controllare i membri) . I risultati principali delle ricerche compiute sulla base del modello di Filder mostrano il seguente andamento : i leader centrati sulle relazioni (altro Lpc) hanno migliori prestazioni in condizioni di controllo o alto o basso della situaizone. In altri termini, i due tipi di leadership funzionano bene in alcune situazioni ma non in altre . Il modello di Fider ha suscitato critiche , ma anche consensi , sui quali nella sede presente , possiamo soffermarci a lungo ; una delle principali critiche riguarda il puntegigo del Lpc di cui si contesta sia la chiarezza teorica , sia la procedura metodologica attraverso cui è ottenuto . In ogni caso il punteggio Lpc rimanda in qualche modo ad una stabilità comportamentale del leader , che ricorda in parte le teorie dei tratti. Nella rassegna sugli sviluppi storici del concetto di leadership, Holander (2985) definisce come modelli Transizionali quei paradigmi , sviluppatasi parallelamente talora anche anteriormente ai modelli della contingenza , che insistono sulla relazione bidirezionale fra leader e membri del gruppo è altrettanto vero che questi ultimi influenzano con le loro aspettative richieste (esplicite o implicite) il leader stesso. Il termine “transizione” vuole appunto indicare questo ruolo più attivo dei membri coinvolti in uno scambio bidirezionale col leader. E’ chiaro come in un ottica di questo tipo la leaderschip venga studiata nei suoi aspetti processuali di influenze e controinfuenze, aspetto questo completamente trascurato dall’ottica tradizionale che vede il leader come unica fonte di influenza . Uno studio Europeo che si pone in tale linea più dinamica e processuale è quello di Merei (1949) , in cui venne studiato l’effetto dell’ammissione di nuovi membri (he erano bambini più grandi e leader nei loro gruppi dei pari ) in un gruppo preesistente di bambini di una scuola materna . Le osservazioni di Merei mostrano che divennero leader del nuovo gruppo solo qui bambini che furono capaci di aggiustar il proprio comportamento alle norme , abitudini , tradizioni del gruppo.; sol successivamente e con una certa cautela , introdussero delle innovazioni di gioco, accetate dal gruppo . I bambini che tentarono di fare valere la propria autorità non furono seguiti. Anche nella teoria della leadership di Hollander (1958; 1964; 1978) viene considerata come punto fondamentale questa dinamica di iniziale adesione alle norme del gruppo e di successiva immissione di idee nuove. Hollander, parla di “credito Idiosincratico” che il leader deve conquistare presso il gruppo; questo credito viene guadagnato negli iniziali contratti fra i membri del gruppo e l’aspirante leader attraverso le prove della sua competenza (cioè i contributi che egli può dare ai principali scopi del gruppo ) e della sua adesione (Hollander parla anzi di “lealtà”) alle norme di gruppo . La credibilità che può essere acquistata da un aspirante leader presso il gruppo, si basa, secondo Hollander (1982) , su almeno quattro fonti di legittimità : la conformità iniziale alle norme di gruppo ; l’essere scelto dal gruppo e non imposto dall’esterno ; dare prove di competenza nel perseguire gli scopi di gruppo ; l’identificazione col gruppo. Secondo Brown (2000) , la teoria di Hollander, è certamente più dinamica di quella di Fielder e spiega in modo nettamente più convincente cambiamenti processuali che avvengono all’interno di un gruppo , anche se il suo limite è quello di non tenere in considerazione le ripercussioni delle relazioni “intergruppi “ nella gerarchia interna del gruppo , come invece hanno fatto Rabbie e Bekkers (1978) . Essi hanno provato sperimentalmente che quando una è insicura è più probabile che relazione con l’Outgroup siano di tipo competitivo , soprattutto quando la posizione dell’ingroup rispetto all’outgroup è percepita come più forte .
Fonte: Bibliografia
Manuale di Psicologia Sociale - Augusto Palmonari, Nicoletta Cavazza, Monica Rubini
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Finchè ci siamo mettiamo anche questo post per concludere il discorso sui gruppi, prese di potere, organizzazioni ecc...ecc.... Ci piace che la gente ne prenda atto e non rimanga immersa nell'ignoranza così almeno è più responsabile delle proprie scelte di vita in qualsiasi ambito.
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